Noemi Comi e il rito che si consuma: dalle tradizioni del Sud a TikTok, passando per l’ASMR

Noemi Comi e il rito che si consuma: dalle tradizioni del Sud a TikTok, passando per l’ASMR

Noemi Comi
Qual è stato l’oggetto votivo o il gesto popolare più sorprendente o inaspettato che hai incontrato durante la tua ricerca per “Demeter”

N.C.: Il gesto che mi ha colpita di più è stato anche il punto di partenza del progetto Demeter. Nel 2019, durante la realizzazione di un altro lavoro, ho incontrato Concettina, una donna di 102 anni che per gran parte della sua vita aveva creato piccoli ex-voto utilizzando materiali riciclati (bicchieri, piatti rotti, carta, oggetti domestici). Li disponeva in altarini che servivano a proteggere sé stessa e la sua famiglia. Quando mi sono avvicinata per fotografarla, ha rifiutato di farsi ritrarre in volto: secondo lei, la macchina fotografica poteva “mangiarle la vita”. E nel farlo ha fatto il gesto scaramantico delle corna. In quel momento, la sua figura mi è apparsa come un archivio vivente, in cui si intrecciavano fede, superstizione, memoria e una lucidissima coscienza del corpo e del suo potere. Da lì è nato Demeter: dal desiderio di dare attenzione e spazio a gesti votivi, svuotandoli del loro significato.

L’uso dei video ASMR per veicolare l’opera aggiunge una dimensione sonora molto intima. In che modo pensi il suono, o meglio, il “rumore del corpo”, come parte integrante del tuo linguaggio artistico?

N.C.: Il suono all’interno del video è diventato per me una via d’accesso a un’intimità più profonda con il gesto rituale. Nei video ASMR legati a Demeter, è il mio corpo a compiere il gesto. Ma a differenza dell’esperienza tipica dell’ASMR, rassicurante e rilassante, qui il suono si carica progressivamente di tensione e attrito. L’intento è quello di entrare all’interno di una dimensione altra rispetto a quella puramente fotografica: il corpo non osserva, ma agisce, si espone, si consuma. Il “rumore del corpo” diventa così una traccia sonora del mio stare nel rito come parte attiva e votante. Fare un voto non è un atto neutro: è un’offerta reale, che mi coinvolge fisicamente ed emotivamente. Il gesto si fa ripetitivo, quasi ossessivo, e genera una forma di disagio, come se il corpo stesso entrasse in una zona liminale.

Hai lavorato su elementi legati alla tradizione popolare calabrese. Che rapporto hai con il concetto di “identità territoriale”? È per te un punto di partenza, un nodo da sciogliere o un modo per trasformare il paesaggio stesso in materia politica?

N.C.: Il concetto di identità territoriale, soprattutto quando si parla di Sud Italia, è inevitabilmente attraversato da una rete fitta di stereotipi, rappresentazioni folcloristiche e narrazioni parziali.

L’immaginario del Meridione è spesso congelato in formule che appiattiscono la complessità del territorio, riducendolo a cartolina o a narrazione etnografica.

Nella mia pratica cerco di lavorare proprio contro questo tipo di rappresentazione, non cancellando la tradizione ma forzandola. In progetti come Lupus Hominarius, ad esempio, ho esplorato le leggende calabresi del lupo mannaro non per esaltarne il lato pittoresco, ma per far emergere le tensioni irrisolte tra arcaico e contemporaneo. Allo stesso modo, in Demeter, ho lavorato su rituali e gesti votivi che sopravvivono in forme residuali, spesso marginalizzate o svuotate del loro significato originario.

Il paesaggio calabrese, con le sue fragilità e le sue assenze, diventa così per me una materia politica: non solo uno sfondo, ma un corpo vivo attraversato da memorie, rimozioni e possibilità di riscrittura. Attraverso la mia pratica artistica, cerco di mettere in discussione le narrazioni dominanti, creando spazi di riflessione dove il territorio non è solo luogo fisico, ma anche spazio simbolico e politico.

Il fatto che hai deciso di realizzare la sua opera su dei biscotti votivi che poi vengono mangiati a modi ASMR esprime un messaggio molto forte; in particolare la scelta del “rituale” di Tiktok. Come mai hai scelto un atto di consumismo come l’utilizzo di un social media invece di uno strumento politico? 

N.C.: L’uso di TikTok e dell’ASMR nel progetto Demeter si inserisce in una pratica più ampia che caratterizza molti dei miei lavori: spingere all’estremo elementi pop o legati al consumismo, fino a renderli quasi saturi, scomodi o disturbanti. In questo processo, ciò che è familiare si trasforma, spesso diventando oggetto di rigetto o liberazione.

In questo caso è il medium stesso a essere consumistico, alla fine TikTok è un contenitore rapido, effimero, in cui ogni gesto viene assorbito e divorato dall’algoritmo. Ma proprio per questo mi interessa utilizzarlo. Il linguaggio del social diventa uno spazio in cui far detonare il senso del rito, della tradizione, del corpo. Di conseguenza non ho scelto uno “strumento politico” in senso diretto, ma un contesto in cui il messaggio potesse emergere proprio grazie al contrasto. È una politica del cortocircuito e dello spaesamento.

Intervista a cura di Martina Ferrarini, stagista Scienze della Comunicazione, Università degli studi dell’Insubria

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