Francesca Procopio e il cibo come rito sacro, memoria collettiva e viaggio interiore
Nei tuoi lavori, come anche in Arcaica , il tema dell’alimentazione si trasforma in un filo conduttore capace di legare memoria e identità, facendo emergere emozioni profonde e collettive. Legato al cibo e all’atmosfera che si crea intorno, qual’è il tuo ricordo preferito?
F.P.:Il mio ricordo più vivo e profondo legato al tema del cibo è l’attesa della Domenica. L’odore del sugo appena svegli, i miei sempre con le mani in pasta già dalle prime ore del mattino. La preparazione del pasto diventava per i più piccini un momento per apprendere non solo le pratiche culinarie, ma soprattutto il senso della vita, della condivisione e dell’amore verso gli altri.
Se potessi scegliere un piatto, una pietanza o un ingrediente come “autoritratto simbolico”, cosa sceglieresti?
F.P.:Un risotto, decisamente articolato nella sua semplicità.
L’atto del mangiare è considerato sacro in molte culture e religioni. Come vivi questo atto nella tua quotidianità? Dopo che hai passato così tanto tempo a fotografarlo, percepisci il cibo in modo diverso?
F.P.:Il mio rapporto con il cibo è cambiato durante il corso della mia vita, un pò come succede a tutti credo di aver avuto le varie fasi che caratterizzano l’infanzia, l’adolescenza e poi la maturità. Sicuramente ho cominciato a sentire e concepire il cibo come un qualcosa di sacro e potente dal momento che l’ho esplorato sotto forma di “Arte”. Ho sperimentato, studiato e praticato la buona cucina, diventando un buongustaio e un collezionista di storie legate a questo fantastico mondo. Amo il cibo in ogni sua forma e spesso mi succede di allietare gli amici oi miei cari con ottime pietanze.
Fotografare il cibo richiede un’attenzione particolare alla luce, alla materia, alla composizione. Ma quando lo metti in scena come simbolo, qual è il dettaglio che ti guida davvero e quale processo utilizza?
F.P.:Scrivo tanto prima di arrivare a concepire un’immagine o un installazione.
Parto sempre dalla scrittura, poi approfondisco i miei processi creativi con la lettura, la ricerca, i viaggi interiori. Mi piace lavorare partendo proprio dalle parole chiave, per poi immergermi nella fase di produzione. Quasi sempre è un percorso travagliato e tormentato, che mi porta anche a non dormirci sù la notte, ma non posso fermare i pensieri e l’urgenza quando arriva, quindi l’assecondo e ci convivo per brevi o lunghi periodi. Arcaica per esempio è stato ” concepito” 4 anni fa, ho diversi taccuini in cui disegnavo e scrivevo quello che oggi sono riuscito a realizzare, un lungo viaggio che mi ha riportato al punto di partenza, le mie radici.
Intervista a cura di Martina Ferrarini, stagista Scienze della Comunicazione, Università degli studi dell’Insubria